I QUATTRO SANTI EVANGELISTI (1923)
Sicuramente i più curiosi si domanderanno il perché della presenza di quattro statue degli Evangelisti nella cappella di Pompei. La storia viene dalle origini di questa Basilica.Sicuramente i più curiosi si domanderanno il perché della presenza di quattro statue degli Evangelisti nella cappella di Pompei. La storia viene dalle origini di questa Basilica.L’anno 1919 il Presidente della “Società quartiere Valle Giulia” offriva alla Santa Sede un vasto terreno ai Parioli per la erezione di una chiesa monumentale, secondo i progetti che l’Architetto Armando Brasini aveva materializzato “per gusto suo” pensando a una grande chiesa da erigersi nei pressi della Basilica di San Valentino. Papa Benedetto XV accettava la donazione e sceglieva come titolo di dedicazione della chiesa a San Giacomo, Santo del suo nome, e ai quattro Santi Evangelisti. Presentato il progetto, il Santo Padre dava la sua approvazione riservandosi di ordinarne l’esecuzione appena le condizioni permettessero di porvi mano. Il momento arrivò nel gennaio di 1923, quando il Santo Padre affida alla Congregazione dei Missionari Clarettiani l’impresa di costruire la chiesa monumentale nei nuovi quartieri della città, ai Parioli, così da condurla a compimento nel più breve termine, e quindi aprirla sollecitamente al culto per il servizio spirituale di una popolazione che andava sempre più aumentando in quella zona. Nel mese di febbraio dello stesso anno il Papa si compiaceva di stabilire che la chiesa s’intitolasse al Cuore Immacolato di Maria, titolo ufficiale della Congregazione dei Missionari Clarettiani. Nel frattempo l’architetto Brasini aveva avanzato i bozzetti dell’iconografie del tempio, e tra questi bozzetti si trovavano le sculture dei quattro evangelisti, modellate da lui stesso, che ora possiamo contemplare nella cappella di Pompei. Cambiato il titolare non era il caso di mantenere l’iconografia prevista. L’idea del Brasini era quella di situare sopra l’attico della chiesa, seduti in grandi sedie di bronzo dorato, gli evangelisti. Nei bozzetti della chiesa si possono contemplare le statue degli evangelisti disposti nei quattro angoli esteriori (vedere la foto di sopra). Sappiamo che, di fatto, si modellarono in misura adeguata per la fotografia che possiamo contemplare con l’architetto Brasini accanto. Non sappiamo dove sono andate a finire queste magnifiche statue in gesso o marmo, ma possiamo immaginare l’effetto di queste statue all’esterno della Basilica grazie alle fotografie che si conservano.
Silvio Canevari, scultore, e il busto del Brasini
Silvio Canevari (Viterbo, 1893 – Roma, 1951), pittore e scultore, eredita una disposizione naturale all’arte dal padre Enrico, anch’egli artista e pittore, esponente della media borghesia illuminata di Viterbo, dove fonda la Scuola di Arti e Mestieri. A questa inclinazione si unisce presto un profondo interesse per l’antichità e il Rinascimento, influenzato anche dagli insegnamenti di Ettore Ferrari, suo maestro all’Accademia di Belle Arti di Roma, che si segnala proprio per la sua cultura rimeditata su Donatello, la scultura barocca, in particolare il Bernini e la statuaria classica. Ha pochi ma profondi legami: con la moglie e modella di tutti i suoi nudi femminili, Serafina Pisciarelli, e con lo scultore, amico fraterno, Attilio Selva.Silvio Canevari (Viterbo, 1893 – Roma, 1951), pittore e scultore, eredita una disposizione naturale all’arte dal padre Enrico, anch’egli artista e pittore, esponente della media borghesia illuminata di Viterbo, dove fonda la Scuola di Arti e Mestieri. A questa inclinazione si unisce presto un profondo interesse per l’antichità e il Rinascimento, influenzato anche dagli insegnamenti di Ettore Ferrari, suo maestro all’Accademia di Belle Arti di Roma, che si segnala proprio per la sua cultura rimeditata su Donatello, la scultura barocca, in particolare il Bernini e la statuaria classica. Ha pochi ma profondi legami: con la moglie e modella di tutti i suoi nudi femminili, Serafina Pisciarelli, e con lo scultore, amico fraterno, Attilio Selva.Realizzò diverse opere mitologiche, di genere, decorative e ritratti (sua modella fu spesso la moglie Serafina). Eseguì alcune delle sculture di atleti a decoro del Foro italico a Roma. Nel campo della medaglistica realizzò il modello della “Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca” (1915-1918), istituita con Regio decreto nel 1920. I “Monumenti ai caduti” di Pistoia e Cività Catellana lo videro impegnato nella memoria dell’evento bellico, tema che l’artista trattò in molti progetti e bozzetti. Fu amico fraterno dello scultore triestino Attilio Selva. Morì prematuramente a Roma nel 1932, l’anno stesso in cui aveva completato sei grandi statue da collocarsi nello Stadio dei Marmi, tra le quali “il pugilatore”, donata alla città di Viterbo.Le Carte Silvio Canevari, donate alla Fondazione nel 1994, sono costituite dalla documentazione epistolare e iconografica relativa al Monumento ai Caduti di Pistoia, imponente scultura realizzata dall’artista nel 1925 in Piazza Mazzini. La Corrispondenza, interamente in fotocopia, raccoglie alcune delibere consiliari sull’assegnazione dell’incarico e sull’ubicazione del monumento, unitamente a comunicazioni varie relative all’avvio dei lavori e alla scelta dei materiali. La Fototeca raccoglie 21 fotografie della scultura, per la maggior parte particolari, mentre lo studio di C. Frulli, Il monumento di Silvio Canevari ai Caduti di Pistoia (in «Artista. Critica dell’arte in Toscana 1992», Casa Editrice Le Lettere, 1992), ricostruisce la vicenda storico-artistica dell’opera. Nella nostra Basilica conserviamo il busto in marmo di Armando Brasini, opera di Silvio Canevari. Si trova nella cappella detta di Pompei, di fronte al busto in gesso del Papa Pio XII, opera di L. M. Sibio (1969).
Josep Grau-Garriga, artista, e la vetrata di S. Antonio Mª Claret
Josep Grau-Garriga nacque a Sant Cugat del Vallés (Spagna) il 18 febbraio 1929. È un artista catalano che ha coltivato diverse tecniche: la pittura, il disegno, l’intarsio, la pittura murale, la scultura e soprattutto l’arazzo, che lo ha fatto diventare l’artista santcugantese più famoso a livello internazionale. Nato da una famiglia di origine contadina che visse le difficoltà della Guerra Civile e soprattutto del dopo guerra, e che ha provato, come tante altre, il carcere e l’esilio. È in quest’ambiente, dove Giuseppe scopre la sua vocazione per l’arte. Agli inizi degli anni quaranta scopre e riceve i primi influssi da ciò che prima si chiamava il Museo dell’Arte Catalana, con i suoi affreschi e le sue pitture romaniche e gotiche. Nel 1943 si inserisce in uno studio di pubblicità e disegno in cui poter convogliare le proprie inquietudini artistiche. Nello stesso tempo si formerà come artista primo presso la Llotja e poi presso la Scuola delle Belle Arti. All’inizio degli anni cinquanta inizia a praticare la pittura murale a soggetto religioso di stile post cubista con la quale otterrà una speciale notorietà, realizzando opere della grandezza dei murali dell’eremo del Sant Crist de Llaceres ( Sant Cugat del Vallès, 1956) o del santuario di Santa Maria de Paretdelgada (La Selva del Camp, 1959). Nel 1957 entra in contatto con la Casa Aymat, che si dedica alla produzione di tappeti e arazzi e si reca in Francia per conoscere la tecnica di questa arte. Al suo ritorno assume la direzione della casa Aymat, dove lavora con artisti come Miró, Tàpies, Subirachs, Ràfols-Casamada e Guinovart. In questi anni nasce la scuola catalana dell’arazzo, di cui Grau-Garriga è il suo massimo fautore. Nel 1964, Grau-Garriga fa’ la sua prima esposizione personale di arazzi nella sala Gaspar di Barcellona, a cui ne seguiranno altre a Losanna (Svizzera), a Parigi e negli Stati Uniti, paesi nei quali abitò per diversi anni. Nel 1969, l’Istituto Internazione dell’Educazione di New York gli concede una sovvenzione che gli permetterà di abitare a New York per un anno e di viaggiare negli Stati Uniti, Messico e Canada. Negli anni settanta concilia il suo lavoro con un notevole lavoro pedagogico, accompagnando diversi laboratori e corsi. Con un centinaio di esposizioni nella sua lunga vita creativa, nel 1988 Barcellona rese omaggio a Grau-Garriga con una grande mostra retrospettiva della sua opera. Dall’anno 2007, un arazzo dell’artista è collocato all’ingresso del nuovo Municipio di Sant Cugat. Grau-Garriga morì ad Angers (Francia), dove risiedeva, nell’anno 2011.
Nella cappella del Santissimo della nostra Basilica possiamo contemplare una vetrata di questo autore con l’effige di Sant’Antonio Mª Claret, fondatore dei missionari clarettiani.
Mario Barbieris, pittore,e un suo quadro in Basilica
Mario Barberis nacque a Roma il 27 giugno 1893. Svolse gli studi classici presso il liceo “Tasso” della capitale. Esordì con una esposizione alla Amatori e Cultori delle Belle Arti di Roma. La Prima Guerra Mondiale lo costrinse però a interrompere gli studi. Finita la guerra tornò a Roma e realizzò manifesti e bozzetti di scena per il mondo dell’editoria e della nascente industria cinematografica. Nel 1921, alla Prima Biennale d’Arte di Roma, venne presentata Il convito della luce, la sua prima grande opera pittorica di soggetto religioso, che gli valse poi l’invito a recarsi a Gerusalemme per contribuire alle decorazioni della nuova Basilica dell’Agonia (o Chiesa di tutte le Nazioni), dove tra il 1922 e il ’23 realizzò due grandi tele ad olio – La preghiera nell’Orto e L’arresto di Gesù – e successivamente, negli anni ’40, i mosaici delle navate laterali raffiguranti l’Arresto di Gesù e Il bacio di Giuda. Non si può non segnalare altresì la sua produzione di illustratore per il regime fascista (sei incisioni più ritratto di copertina per il discorso di Benito Mussolini Ai combattenti d’Italia, 1923; decorazioni e scene esotiche in b/n per la «Rivista delle Colonie Italiane», segnatamente per il numero speciale apparso nel ’28 in concomitanza con l’Esposizione Coloniale inauguratasi a Torino per il “Decennale della Vittoria”), sebbene Barberis – a dispetto dell’amicizia che lo legò a Giuseppe Bottai dai tempi del “Tasso” – non ebbe mai la tessera del partito. Affranto dalla morte dell’amatissima moglie, Barberis si concentrò su una raccolta di immagini a lei dedicate su fogli da disegno. Tratteggiati con matita di colore sanguigno, questi disegni costituiscono la summa di 40 anni di produzione artistica. L’album delle “sanguigne” dedicato alla moglie è conservato dalla figlia del pittore, Chiara Barberis, come testimonianza dell’opera paterna. Mario Barberis morì a Roma dopo una lunga malattia il 24 gennaio del 1960 all’età di 66 anni. A Roma si possono vedere opere di Barbieris: i mosaici e le vetrate per la Chiesa piacentiniana di Cristo Re, il ciclo di affreschi per il Seminario Romano nella Città del Vaticano e per le suore di Cluny a Roma, le pale d’altare: per Chiesa di S. Maria Liberatrice, per la Parrocchia degli Angeli Custodi, per la cappella delle suore Orsoline e delle Serve di Maria, le Viae Crucis per la Chiesa di S. Anna dei Palafrenieri in Vaticano, 1932, e la Basilica di S. Prisca all’Aventino, 1938.
Nella cappella della Madonna di Pompei possiamo contemplare il quadro di santa Teresa di Gesù Bambino, con una riproduzione immaginaria della basilica, che possiamo vedere nella foto centrale.
Elena Virginia Costantinescu, pittrice e isuoi quadri in Basilica
Nata in Transilvania nel 1933, Elena Virginia Costantinescu si trasferisce presto a Parigi, dove vive gli anni dell’infanzia. L’influenza della capitale francese, animata da importanti e contrastanti fermenti artistici e culturali provenienti da tutta Europa, ha grande influenza sulla giovanissima rumena. A Bucarest segue gli studi superiori e universitari, laureandosi in Chimica. Contemporaneamente coltiva però la sua grande passione e frequenta l’Accademia di Belle Arti. Inizia a lavorare nel settore della ricerca scientifica. Collabora presso il Centro di esperienze e ricerche di Galliera di Bologna (1964 al ’66). Intraprende poi un lungo viaggio verso gli Usa, che la porta a stabilirsi a New York ( nel ’67); quindi si sposta a Roma (dicembre ’67) e infine a Napoli (’73), dove si trasferisce con il conte napoletano Arnaldo Marulli. Vi rimarrà definitivamente, eleggendola sua città d’adozione. Numerosi i premi e i riconoscimenti che le giungono nel corso degli anni settanta, sia in Italia che all’Estero e nel corso della sua attività artistica animata da oltre quaranta personali in Italia e all’Estero, oltre alle incalcolabili collettive. Dal 1976 decide di dedicarsi all’esecuzione di opere di grandi dimensioni, per la Chiesa Rumena e la Basilica del Sacro Cuore a Roma, la Chiesa di San Gioacchino a Napoli, etc; per questo motivo interrompe l’attività espositiva. La riprende nell’88 ed è subito richiesta, tra gli altri, da Patrice Leleu per la Galerie Salammbò di Parigi. Decide di offrire alla “sua” Napoli le ultime due esposizioni italiane, presso l’ “AIMAR”, Accademia internazionale maestri dell’Arte realistica, e l’ “Aulic Art Space”. L’attività fervida di tale Accademia, di cui la Constantinescu è fondatrice e presidente, riscuote grande interesse e apprezzamenti che la ripagano delle energie investite. Durante gli anni 80 intraprende un rapporto di collaborazione importante e duraturo con la prestigiosa Galleria Forni di Bologna, tutt’oggi simbolo della tradizione figurativa. Successivamente si dedica alla promozione della pittura realistica, anche attraverso uno spazio espositivo messo a disposizione degli artisti che scelgono questo tipo di espressione. Nel ‘66 da Broadway le arriva la richiesta di esporre le sue opere in una mostra di grande risonanza, ma Elena Virginia decide di declinare questa importante opportunità, molto probabilmente a causa della morte di Arnaldo Marulli, suo compagno di vita. –
Teresa Lucianelli
Nella navata centrale e nel corridoio di sinistra della Basilica possiamo contemplare i tre quadri della Costantinescu: “La Madonna vista da San Luca Evangelista”, “Madonna vista da San Giovanni Evangelista” e “Maria Maddalena”. |
I DUE ARCANGELI (1955)
Il 24 luglio di 1955 si collocavano i due arcangeli in bronzo, San Gabriele e San Michele, nel presbiterio della nostra Basilica, custodia del mosaico del Cuore di Maria. L’autore, un conosciuto scultore italiano: Domenico Ponzi (1891-1973). Una circostanza straordinaria era intervenuta decisamente a far terminare nel corso di poche settimane l’altare: la scelta del nostro tempio per la consacrazione episcopale di Mons. Giuseppe Sensi, eletto Arcivescovo di Sardi e Nunzio Apostolico nel Costarica. Ma chi era Domenico Ponzi scultore degli angeli? Nasce a Ravenna da una famiglia modesta. Nel 1903, terminata la scuola elementare, viene iscritto all’Accademia Provinciale di Belle Arti di Ravenna. Terminati gli studi viene scelto per realizzare la riproduzione di un particolare all’interno del Padiglione Emiliano-Romagnolo nella Esposizione Universale del 1911 a Roma. Il suo desiderio era di lasciare Ravenna per approfondire gli studi ed entrare nel mondo dell’arte. Nel 1925 sposa Angela Toppi la cui famiglia, originaria di Anticoli Corrado, è strettamente legata al mondo dell’Arte. Il periodo che va dal 1932 al 1935 è di grande attività: realizza Il rurale che, esposto alla seconda Quadriennale di Roma viene acquistato per la Galleria Comunale d’Arte Moderna. Modella la mezza figura titolata L’orfanella ed un ritratto, Nazareno, opere acquistate per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Alla III mostra Quadriennale di Roma espone con il titolo Al di là dell’aratro la figura de L’aratore, acquistata il giorno stesso dell’inaugurazione per essere collocata all’ingresso del Ministero dell’Agricoltura. Nel 1940 vince il Concorso per l’esecuzione di un Pilone nel ponte Duca d’Aosta in Roma. Modella, la statua raffigurante S. Cristoforo per l’atrio della nuova stazione Termini in Roma secondo il progetto, non realizzato, dell’Arch. Mazzoni. Nel 1941 viene nominato titolare della Cattedra di figura e ornato modellato nel Liceo Artistico di Roma. Partecipa alla IV Quadriennale di Roma con la figura femminile Quiete dopo la tempesta. Nel 1948 per il Collegio di S. Pietro Apostolo al Gianicolo in Roma, la statua in bronzo di S. Pietro pescatore. Negli anni che seguono modella per la Cappella del Seminario nel Pontificio Collegio Americano del Nord al Gianicolo in Roma, la 8ª e 9ª Stazione della Via Crucis, per la Chiesa dedicata al Sacro Cuore Immacolato di Maria in piazza Euclide a Roma, i due Angeli collocati sull’altare maggiore nonché il modello definitivo della statua di S. Pietro che viene collocata in opera, all’esterno della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo all’EUR in Roma nel 1957. Dal 1960 in poi dedica la sua attività principalmente alla realizzazione dei bozzetti e dei modelli al vero per il monumento a Bartolo Longo da erigere nella piazza del Santuario a Pompei e che viene inaugurato nel 1962 dal Presidente della Repubblica Antonio Segni. Il 24 ottobre 1973 muore in Anticoli Corrado mentre riproduce in legno il bassorilievo raffigurante la Flagellazione, opera del 1971.
La cappella del Santissimo (1960)
La decorazione, di quella che è chiamata la Cappella del Santissimo, fu curata dallo stesso architetto, Armando Brasini. La cappella è una riuscita combinazione di pittura, bronzo, marmi policromi, mosaici e, anche gesso, come i due Angeli che fanno la guardia e illuminano il Signore Sacramentato. L’altare è opera della società Henraux; le pitture, di Federico Morganti, e il mosaico della Scuola Vaticana. Siccome doveva essere il luogo per l’esposizio-ne del Santissimo Sacramento, si collocò uno splendido e ingegnoso ostensorio. Dietro l’alta-re si costruì un locale per facilitare l’esposizione e la conservazione dell’Eucaristia e un’altra nel muro laterale destro per collocare un armonium. Il bello e ingegnoso ostensorio al quale ci riferiamo è di stile quasi moderno per quell’epoca, ma soprattutto è pratico, perché sono insieme ostensorio e croce da ambo i lati. Non ha bisogno di essere smontato dal suo grande basamento a forma di cono tronco e con scalini, che diventa un prolungamento dell’altare. Basta farlo girare perché si presenti come croce o come ostensorio. Il giorno 24 giugno 1960, festa del Cuore di Gesù, fu la data della sua inaugurazione. L’Em.mo Cardinale Arcadio Ma Larraona, clarettiano, sepolto nella cappella di San Giuseppe, consacrò l’altare e benedisse il tabernacolo. Il Rev.mo P. Generale, P. Pietro Schweiger, celebrò la Santa Messa. Poi diede lettura di una lunga lista di persone che fecero fronte alle spese dell’opera. In seguito, si diede inizio a una serie di adorazioni eucaristiche che durarono tre giorni.
Il monumentale presepe poliscenico (1963)
Tra i molti presepi artistici della città, quello di Piazza Euclide –opera di D. Fulgenzio Martínez, allora fratello clarettiano spagnolo- merita particolare attenzione poiché, fin dal 1963, continua a riscuotere l’ammirazione di centinaia di visitatori. Nell’atrio, sulla destra, si apre una porticina che immette nella cripta, la antica cappella parrocchiale. Il presepe non consiste soltanto di scene dipinte o meccaniche, ma è la realizzazione e presentazione in piccolo della storia della salvezza e della vita di Cristo, con varietà di personaggi, ambienti, panorami, sfondi cangianti di cielo tali da sembrare quasi reali. Il visitatore più raffinato resta sorpreso da minimi e perfetti dettagli, dagli scorci arditi, dall’esattezza delle prospettive e dalla precisione dell’ architettura orientale e più ancora dal interpretazione precisa degli episodi biblici raffigurati in 23 stupende scene. Albe, meriggi, tramonti, luna, comete, angeli scivolanti sull’azzurro stellato, anche schioccanti melodie eteree… All’impressione gioiosa, estasiante l’occhio e lo spirito, dobbiamo aggiungere la non meno preziosa presentazione, in 17 scene, della vita di Gesù: dal battesimo al Calvario, all’Ascensione, fino alla Pentecoste. Oltre un decennio è durato il lavoro. Centinaia di figure d’ogni altezza ed atteggiamento arrivate dal nord e dalla Spagna. Muratori, falegnami, vetrai, elettricisti, pittori. Furono molti a collaborare. È una grande opera, degna di Roma e del quartiere Parioli. Oggi, ricuperata di nuovo e salvata dall’umidità e dal deterioramento, si apre a Natale e nella Settimana Santa. È, senza dubbio, un punto di riferimento per tutti quelli che amano l’arte e per quelli che vogliono trovare un momento di intimità e di sollievo.
Il nostro Battistero (1963)
I quadri che abbelliscono il nostro Battistero, erano stati dipinti per una Chiesa che la società “Autostrade” costruì vicino a Firenze, ma non si inserivano bene nell’insieme. Questi quadri erano esposti nella Sala “Beato Angelico” di Piazza della Minerva quando li vide il parroco, P. Renato Logar. Si innamorò dei quadri e voleva comprarli, ma già erano stati venduti. Il P. Logar non si diede per vinto e ricorse all’ingegner Fedele Cova, che era stato nostro parrocchiano. Lo invitò a recarsi alla Segreteria di Stato, a cui la Società Autostrade aveva consegnato i quadri, da Mons. Giovanni Moretti. Si seguì il percorso normale fino ad arrivare al Cardinale Vicario al quale erano stati consegnati per collocarli in una Chiesa di Roma. Siamo stati i primi nella richiesta e i più fortunati nell’ottenerli in custodia. Il pittore, Gregor Sciltian, italo armeno, visitò alcuni giorni dopo la nostra Basilica e le parve il luogo ideale per i suoi quadri. L’architetto, Armando Brasini, a sua volta, consultato da Sciltian e dal Parroco, espresse il suo apprezzamento. La collocazione avvenne alla presenza e sotto la direzione dell’artista. E la solenne inaugurazione si fece il giorno di San Pietro, 29 giugno 1963. Furono presenti il Cardinale Gregorio Agagianian, connazionale e invitato dal pittore, il Cardinale Arcadio Larraona, missionario clarettiano, e altre personalità, tra di esse l’architetto Brasini. Benedisse l’insieme il Cardinale Larraona. I quadri formano un insieme di 9 tele ad olio. La principale misura 4,65 x 2,30 mt. E le altre 3,10 x 1 mt. circa. Il quadro centrale rappresenta il Battesimo di Gesù. È di un colore e realismo impressionante. Gli altri quadri rappresentano diverse cerimonie del rito battesimale e diversi simboli. Nell’opuscolo dedicato a quest’opera l’autore, morto a Roma , scrive: “In questa opera ho voluto esprimere la sintesi della mia ideologia ed il mio credo estético nella pittura della realtà, perché credo fermamente che l’arte realistica rappresenti l’unica strada che riconduca alla salvezza e alla sublimazione della pittura in questi tempi di oscurantismo e di disfacimento della grande tradizione”.